20 Gen Che cosa facciamo quando facciamo l’analisi
A proposito del Seminario di Jacques Lacan: Gli scritti tecnici di Freud.
Qualche osservazione sulla tecnica[1]
Luigi Burzotta
“Esiste anzitutto un linguaggio già formato, di cui ci serviamo come di uno strumento assai cattivo”: potrebbe essere un buon esergo a questo primo seminario di Jacques Lacan.
Con questa frase, che troviamo nell’Ouverture del Seminario I, Lacan vuol dire che Freud seppe, malgrado non potesse evitare di porsi a questo livello di linguaggio corrente, allontanarsi dal cattivo linguaggio, sottomettendosi alla disciplina dei fatti, del laboratorio.
Poiché ho nominato Freud ecco un’altra citazione dall’Ouverture, la si trova immediatamente nel terzo capoverso: “Il pensiero di Freud è più di altri perennemente aperto alla revisione. È un errore ridurlo a parole usate. Ogni nozione vi possiede una vita propria. È ciò che precisamente si chiama dialettica”.
Si coglie subito la portata sovversiva di questa frase – “ogni nozione vi possiede una vita propria” – che va in senso opposto a quella comune tendenza a mummificare, catalogare e archiviare, per assicurarsene, il pensiero di Freud; perché introduce la nozione di soggetto o meglio ci mette ben piazzati per introdurla: se nel discorso di Freud ogni nozione possiede una vita propria, è perché “egli stesso è in causa. Fin dall’inizio Freud sa che non farà progressi nell’analisi delle nevrosi se non analizzando se stesso”. Egli “… procedeva in una ricerca, che non è segnata dallo stesso stile delle altre ricerche scientifiche. Il suo Campo é quello della verità del soggetto”. Una ricerca nella quale era personalmente implicato perché trattavasi “di una verità che interessava totalmente lui stesso”. Trovandosi davanti al suo paziente, ascoltandolo, egli si rendeva conto di essere personalmente in causa nel costruire e verificare I’analisi stessa. Se da tutto questo è derivato un metodo per noi, certamente non lo era per lui. Un metodo per noi. Si può dire che Freud applicasse il processo analitico nella costruzione e verifica dell’analisi stessa.
S’intende allora perché Lacan suggerisce di applicare a quello che per noi è diventato un metodo, lo stesso processo analitico. “In effetti, l’esame che dobbiamo fare di tutto quanto è dell’ordine della nostra tecnica cade sotto il tiro della nostra disciplina”
Ed eccoci alla tecnica.
Ho evitato di cercare la parola, come di solito si fa in questi casi, nei dizionari più accreditati. Sorvolo volutamente sulla tecnica nel senso del progresso tecnologico, per soffermarmi sull’uso della parola in campi dove la si vede presiedere a processi di tipo artistico.
Durante il montaggio per la messa in scena di una pièce drammatica, quando capita che, nel bel mezzo del lavoro, regista e attori non ci si raccapezzino più si sente qualche volta pronunciare la frase: “Proviamolo tecnicamente”; si tratta di ripetere meccanicamente le parole legandole al gesto o al movimento che le accompagna. Quasi sempre non c’è verso di uscire dall’impasse perché in quel modo la prova risulta raggelante: tutti si rendono conto che non si può isolare la tecnica dal contesto. Qualcosa d’analogo si sperimenta, ogni critico ne é cosciente, nell’analisi del testo poetico.
Tuttavia il problema della tecnica rimane: un modo di cavarsene fuori è quello di dire che la tecnica è lo stile, di volta in volta, del regista, dell’attore, del poeta.
Per tornare al nostro campo: “La tecnica non vale né può valere che nella misura in cui comprendiamo dov’è la questione fondamentale per I’analista che I’adotta”.
Il termine, scritti tecnici, è adoperato per designare un raggruppamento di scritti, che vanno dal 1904 al 1919, in cui si tratta del metodo psicoanalitico: la nozione di resistenza e la funzione del transfert vi occupano il posto prevalente e ne fanno una raccolta di particolare interesse.
Tuttavia Lacan ricava l’unita di questi scritti non dal fatto che Freud vi parli della tecnica ma dal fatto che si collocano tra due sviluppi: quello dell’ “esperienza germinale” (di cui parleremo) e quello della teoria strutturale, che data a partire dal 1920. “In un certo senso Freud non ha mai smesso di parlare della tecnica”, dagli Studi sull’isteria, attraverso l’Interpretazione dei sogni, fino ad Analisi terminabili e interminabili del 1934. “A parte ciò che ha scritto su temi mitologici, etnografici, culturali, non c’è un’opera in cui Freud non ci apporti qualcosa sulla tecnica”.
Perché allora proprio gli scritti tecnici? Perché in essi “la semplicità e la franchezza del tono sono già per sé una sorta di lezione”. “La formalizzazione delle regole tecniche è trattata in questi scritti con una libertà che già per sé è un insegnamento…. Niente di più salutare e di più liberante. Niente che mostri meglio come la vera questione sia altrove”. E cioè: “La tecnica non vale né può valere che nella misura in cui comprendiaino dov’é la questione fondamentale per I’analista che I’adotta”.
La questione fondamentale in quel momento, 1954, è per Lacan “che cosa facciamo quando facciamo I’analisi?”. Rispetto alla quale in quel momento tra gli analisti, Lacan ci assicura, “non ve n’è forse uno solo che in fondo si faccia la stessa idea di uno qualunque dei suoi contemporanei”, pur rifacendosi ognuno, per un verso o per I’altro, alle elaborazioni teoriche di Freud.
In questo quadro desolante a Lacan pare di poter isolare la two-bodies psychology di M. Balint come la direzione più feconda seguita dalla morte di Freud in poi, perché in essa si elabora la nozione del rapporto fra analista e analizzato, ma per precisare che “I’esperienza analitica nella sua completezza va formulata in un rapporto a tre e non in una relazione a due, dove la parola interviene come terzo elemento. Prendendo in considerazione l’esperienza germinale di Freud che “la ricostruzione completa della storia del soggetto è l’elemento essenziale, costitutivo, strutturale del progresso analitico”, Lacan valuta il ruolo che questo terzo elemento, la parola, esercita nella “reintegrazione da parte del soggetto della propria storia”.
Ora, è proprio su questa concezione freudiana di restituzione del passato che bisogna intendersi, che per Freud avviene nell’attualità del rapporto analitico e dove l’essenziale non è il vissuto esatto ma la ricostruzione.
Il rivissuto esatto pone I’accento sulla reviviscenza dell’affettivo cosi come comunemente s’intende.
La ricostruzione è nel registro della parola ed è ciò che Lacan intende promuovere: “in fin dei conti direi che si tratta meno di ricordarsi quanto di riscrivere la storia”. Questa frase è molto suggestiva perché contenendo la nozione di “scrittura” si collega con un volo rapidissimo a formulazioni successive dove la scrittura viene ricondotta ai suoi atomi letterali, per isolare appunto la lettera come istanza fondamentale dell’inconscio.
La lettera considerata nella sua materialità concorre a quelle cifrature singolari del sogno e dei lapsus di cui l’inconscio è lo scriba. Uno scriba che all’occasione sa adoperare anche il corpo come materiale letterario, per cifrare quei crittogrammi pieni di mistero che sono i sintomi.
È su questo versante che Lacan sa cogliere la grande portata dell’insegnamento freudiano in ciò che ha di veramente rivoluzionario, anticipatorio proprio perché Freud non aveva il supporto della linguistica moderna.
Da queste ultime considerazioni si può capire perché Lacan si chieda come mai la pratica istituita da Freud sia giunta a trasformarsi al punto che “alcuni considerano in effetti I’analisi come una specie di scarica omeopatica da parte del soggetto della propria apprensione fantasmatica del mondo. Secondo costoro quest’apprensione fantasmatica deve a poco a poco, all’interno dell’esperienza attuale che ha luogo nel gabinetto di consultazione, ridursi, trasformarsi, equilibrarsi in una certa relazione col reale…. Poiché si sostiene che si tratta di ottenere un riadattamento del paziente al reale, bisognerebbe pur sapere se è l’ego dell’analista a dare la misura del reale”
L’ego come tutti sanno è una delle tre istanze che Freud ha introdotto a partire dal 1920 e che nell’attenzione degli analisti, da quel momento, ha preso il posto privilegiato fino alla costruzione di una vera e propria psicologia dell’ego.
“Anna Freud, Fenichel, pressapoco tutti quelli che hanno scritto sull’analisi dopo il 1920 ripetono: noi non ci rivolgiamo che all’io, noi non comunichiamo che con l’io, tutto deve passare attraverso l’io”.
Al contrario, prosegue Lacan, tutto il progresso di questa psicologia dell’io si può riassumere in questi termini: “l’io è strutturato esattamente come un sintomo. Non è altro che un sintomo privilegiato all’interno del soggetto. È il sintomo umano per eccellenza, la malattia mentale dell’uomo”.
Vedi L’io e i meccanismi di difesa di Anna Freud.
È facile arguire che cosa consegue se I’analista si consente di far intervenire il proprio ego nella relazione col paziente.
Quel complesso sistema costituito dal modo spontaneo in cui ciascuno di noi agisce quotidianamente, abborda e giudica le cose, si presenta come una veste naturale per ciascuno di noi, un’armatura. È la “massa ideazionale” degliStudi sull’isteria: “quell’organizzazione di certezze, di credenze, di coordinate, di riferimenti…. che noi qui possiamo chiamare in modo abbreviato il sistema”.
È a questo sistema dell’ego che Freud ha legato fin dalle origini della ricerca la nozione di resistenza; ma non esiste un testo, negli Studien über Hysterie, che permetta di pensare che, poiché tale, essa provenga dall’ io.
Ora, se la relazione analitica si riduce a un confronto da ego a ego ne consegue che tutta I’attenzione dell’analista sarà rivolta a scovare le difese del suo partner, i suoi interventi mireranno ad analizzare queste difese allo scopo di vincere la resistenza. Ma in questo rapporto speculare sarà anche difficile stabilire da quale parte stiano le difese, da quale parte stia la resistenza. E’ il caso di Annie Reich quando mira al riconoscimento da parte del soggetto, hic et nunc, delle intenzioni del suo discorso.
“Se c’è qualcosa che costituisce l’originalità del metodo analitico, è proprio I’aver percepito all’origine e di primo acchito il rapporto problematico del soggetto con se stesso. La scoperta… è di aver messo in connessione questo rapporto col senso dei sintomi. È il rifiuto di questo senso da parte del soggetto a porgli un problema. Questo senso non deve essergli rivelato ma deve essere assunto dal soggetto”. In questo quadro ciò che Lacan inaugura col “tempo logico” e la “seduta breve” supera la nozione stessa di tecnica e si profila come elemento strutturale inseparabile dal processo analitico.
[1] Gli scritti tecnici di Freud 1914 – 1953 – 1990. Quaderni di psicanalisi – n. 2 , Associazione Freudiana, Upsel Editore, Torino 1990.