L’Es e l’Inconscio nella logica del fantasma di Lacan

L’Es e l’Inconscio nella logica del fantasma di Lacan

L’Es e l’Inconscio nella logica del fantasma di Lacan

 

 

Il rapporto del Pensiero con l’Essere, nel tradizionale processo della conoscenza, poggiando sull’ipotesi della corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo, conduce, in un miraggio di perfezione, all’idea totalizzante dell’Uno.

Il passo decisivo di Cartesio, sostituendo a questo rapporto del Pensiero con l’Essere la pura instaurazione dell’essere dell’Io, si limita al semplice impianto del “sum”.

Ciò implica il puro funzionamento del soggetto del “cogito”, che può avere l’apparenza di essere trasparente a se stesso, ma che, nel suo statuto di semplice suis-pensée, non ha niente a che vedere con quella che abitualmente viene detta “coscienza di sé” e situa il soggetto soltanto nel punto in cui non può che articolare: “penso”.

Ora se è vero che il passo di Cartesio è preparato dal rigetto di tutto il sapere, percorrendo cioè a ritroso il duro cammino che nel processo della conoscenza condurrebbe dal Pensiero all’Essere, è anche vero che a questo passo è essenziale la dimensione dell’Altro.

In un ragionamento per induzione totale l’Altro viene condotto per mano, lungo il cammino della rinuncia a tutte le vie del sapere, per sorprenderlo a una svolta e ottenerne la confessione che almeno per quello, per il fatto cioè di avergli fatto percorrere questo cammino, bisogna che Io, Je, sia.

È vero che Cartesio spinge poi questo Altro fino all’essenza divina, e già nelle “Regulae” il “sum ergo Deus est” è esattamente il prolungamento del “cogito ergo sum”; ma qui è unicamente nell’ “ergo”, nel “dunque”, cioè soltanto nella semplice articolazione logica, che l’Altro è chiamato come pura referenza della parola a sostegno del “sum”.

D’alta parte questo Altro, divenuto inevitabilmente il Garante divino del “cogito ergo sum”, è segnato da Cartesio dalla marca dell’inganno.

In questo tratto di un Dio che al limite può anche ingannare, Lacan scorge la referenza inconfondibile del significante, che in quanto tale è del registro della menzogna: è lo statuto del “tratto unario”.

Resta tuttavia l’ombra che se il “cogito ergo sum” non si completa col “sum ergo Deus est”, come articolazione filosofica non è tenibile; ma anche la luce di un beneficio: aver limitato l’Essere al piccolo margine del “sono”, inerente al soggetto del “penso” come tale.

Nella nostra prospettiva la funzione del Garante, se lo è di una Verità che, Dio volendo, può anche essere l’errore, si specifica semplicemente come funzione che assicura la verità di tutto ciò che si articola come tale.

Proprio qui Lacan individua la funzione idealizzante dell’Uno, il “tratto unario” dell’identificazione.

La funzione strutturante dell’Ideale dell’Io, come punto concreto dell’identificazione inaugurale del soggetto, non potrebbe avere formalizzazione più rigorosa; ma come essa risulta insostituibile all’economia del soggetto nella sua instaurazione, la funzione dell’Ideale dell’Io si rivela presto provvisoria e, alla lunga, fuorviante. Essa trova il suo punto di arresto nel miraggio dell’Io-ideale.

Nello stesso Cartesio per esempio la distinzione di una “res cogitans” da una “res extensa” esilia il pensiero dalla “estensione” e lo riporta ad una dimensione realista.

Dal semplice tratto di struttura, dall’ “unario”, si fa ritorno all’Uno dell’idealismo.

È qui che si innesta l’apporto di Freud che trova nell’inconscio l’origine del pensiero.

La “res cogitans” nell’esperienza freudiana risulta marcata alle radici e si impone per la sua caratteristica spezzettata e spezzettante: la si ritrova si può dire sparpagliata nelle cose.

La lezione freudiana ci porta a ristabilire l’Altro nella sola funzione che gli compete, quella di luogo della parola, luogo cioè in cui l’asserzione si pone come veridica.

Che l’Altro non ha alcuna specie di esistenza al di fuori di questo luogo Lacan lo scrive con l’algoritmo S(A) [con la barra sulla A]; tagliando corto con quella “mitologia grossolana” che, in nome di una “non si sa quale nostalgia di una unità primitiva, d’un puro e semplice battito della soddisfazione”, lo vuole assimilato a qualcosa che rappresenta l’Altro di un rapporto nutritivo, o peggio ancora, “confonde quest’Altro nutritivo con l’altro sessuale” (Logique du fantasme 18-1-67. Seminario inedito).

Lacan trova che l’unico modo di situare il “cogito” di Cartesio è quello di collocarlo sotto la rubrica di ciò ch’egli articola come “alienazione”: quella “forma di scelta forzata…verso un’alternativa che si salda con una mancanza essenziale..”.

È una modalità originale elaborata da Lacan per mettere al riparo il “cogito” dall’esigenza del Garante che la chiamata in causa dell’Altro implica. La mancanza è il posto lasciato vuoto dal Garante. L’esito della mancanza vuol dire che la scelta forzata viene dal soggetto dell’enunciazione, la cui esistenza è assicurata dalla negazione.

Si tratta di quella negazione non riducibile alla forma del misconoscimento articolata nell’enunciato, perché anteriore a tutto ciò che risulta articolato; allorché, per esempio, “non desidero” non implichi in modo complementare qualcosa che non desidero e nemmeno che non sia io a desiderare, ma piuttosto verta sul: “non è vero” che desidero.

Si tratta dunque di quella negazione radicale che riconduce alla questione stessa del soggetto, al suo punto di sospensione di fronte allo statuto di Verità, che logicamente lo precede.

Se la scelta forzata dell’alienazione è di questo momento logico che precede ogni enunciato, nel regime cioè della negazione radicale, il ”cogito” ne risulta marcato e insieme con esso l’Altro.

La marca ristabilisce l’Altro al solo statuto di luogo della parola, cioè di “luogo in cui l’asserzione si pone come veridica”, e nello stesso momento lo destituisce da qualsiasi altro tipo di esistenza.

Ma poiché dirlo è ancora fare appello a lui per situare questa verità, è come farlo risorgere ogni volta che parlo, “ – ch’egli non ha alcuna specie d’esistenza – non posso dirlo ma posso scriverlo. Ed è per questo che scrivo S, significante dell’A grande barrata, come costituente uno dei punti nodali di questa rete, attorno al quale si articola tutta la dialettica del desiderio, in quanto essa si scava nell’intervallo tra l’enunciato e l’enunciazione” (Logique du fantasme, cit.).

Il limite e il superamento del “cogito” è formalizzato da Lacan con l’inserzione della asserzione cartesiana in un rapporto proposizionale, dove la negazione della congiunzione, secondo l’enunciato di De Morgan ripreso da Boile si traduce nella negazione dell’intersezione: ~(A.B) º (~AV~B).

Dalla semplice negazione della riunione di A e B ne risulta cioè o la negazione di A o la negazione di B: dalla semplice negazione della riunione di “cogito”e “sum” ne risulta: ou je ne pense pas ou je ne suis pas, “o io non penso o io non sono”.

La formula così tradotta rende ancora più evidente la portata di ciò che Cartesio introduce.

Il “cogito” è il punto culminante di un processo di svuotamento del pensiero e di evitamento dell’essere.

L’insieme vuoto dell’uno è correlativo all’insieme vuoto dell’altro, nella instaurazione di un Io (Je) che non corrisponde ad alcun elemento né dell’uno né dell’altro; di un Io, Je, che, nella maniera più succinta, corrisponde al puro ed unico fondamento dell’essere.

Il passo di Cartesio è dunque possibile soltanto al culmine di un processo marcato dalla negazione, per porre quest’Io, questo Je, come pura instaurazione dell’essere.

Abbiamo visto come, secondo l’enunciato di De Morgan, la marca della negazione traduca la semplice congiunzione in alternativa: “o io non penso o io non sono” (ou je ne pense pas ou je ne suis pas).

La pura instaurazione dell’Io, del Je, comporta questa alternativa. Così Lacan legge Cartesio.

La cosa sorprendente è che, posti di fronte ad essa, non abbiamo scelta, siamo obbligati a tendere verso l’ ”io non penso” se vogliamo preservare l’Io (Je); ma poiché si tratta di un’alternativa, il risultato di questa non può che essere una perdita, la perdita dell’ “io non sono”, in cui consiste quell’Io (Je) per il quale tutta l’operazione è stata fatta.

Per valutare gli effetti della perdita conseguente alla scelta, che abbiamo visto obbligata, Lacan raffigura l’alternativa con due cerchi alla Eulero che si intersecano; che mordono cioè l’uno su

l’altro, ritagliando un campo d’intersezione. Questo campo corrisponde all’”ergo” del “cogito” originario.

 

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Connessa alla scelta del je ne pense pas la caduta del je ne suis pas non è senza conseguenze: una sbrecciatura si produce nel campo dell’intersezione, nel luogo dell’ “ergo”; dove appare qualcosa che si sostenta di essere “non-io”, pas-je, e che tuttavia conserva i connotati dell’ “ergo”, cioè della pura struttura logica.

Si tratta di ciò che Freud, nella seconda topica, chiama “Es”, e che Lacan introduce a questo punto della sua elaborazione per darne la definizione più rigorosa: “Le ça, l’Es è…nel discorso, in quanto struttura logica, esattamente tutto ciò che non è je, cioè a dire tutto il resto della struttura. E quando dico struttura logica intendete grammaticale” (Logique du fantasme, 11-1-67 ). Qui Lacan legge Freud (“Pulsioni e loro vicissitudini”, 1915) e alla lettera, affermando che questa struttura grammaticale è il supporto della pulsione.

Se la struttura grammaticale è l’essenza dell’ “Es” ( ça ), il “fantasma” è una sceneggiatura; cosa che Lacan altre volte ha illustrato con il sogno dell’uomo dei lupi e che qui sintetizza dicendo che il “fantasma” potrebbe esprimersi così: Ein Kindist geschlagen, “un bambino è picchiato”. Sta qui il crinale, la linea spartiacque tra ciò che insegna Lacan a partire da Freud e ogni lettura oscurantista di Freud: il funzionamento della pulsione è un montaggio grammaticale.

La struttura della frase “un bambino è picchiato” esclude la presenza dell’Io; nell’analisi che ne fa Freud il soggetto non arriva mai a confessarsi. Solo nel tempo dell’interpretazione si giunge alla “Bedeutung”, alla significazione che sia lui a essere battuto; ma l’enunciato del “fantasma” come tale è ciò che resta della struttura grammaticale: il “senso” cioè nel quale il soggetto si aliena al costo del suo essere, dell’Io che va perduto. Ogni frase insensata ha il suo senso purchè abbia una sua struttura grammaticale: Colourless green ideas sleep furiously.

Con la pulsione siamo al livello del senso; ma “la verità dell’alienazione non si mostra che nella parte perduta…quell’io non sono”.

L’essenza dell’inconscio non sta nella pulsione ma nella dimensione dell’io non sono.

Lo dimostra l’effetto di sorpresa che si manifesta a livello di ogni vera interpretazione.

La sorpresa è connessa alla fenomenologia dell’io non sono, che è la vera essenza di ogni formazione dell’inconscio. Nel motto di spirito “è al livello di questo je ne suis pas che si produce il riso”. Quando il callista e ricevitore del lotto hirsch hyacinthe assicura di essere stato trattato dal barone salomon rotschild con modi del tutto “familionari” è della inesistenza della posizione del ricco che ragiona, in quanto non è altro che finzione; ma al tempo stesso ciò che egli dice lo mette nella stessa situazione di inesistenza, perché vi è ridotto egli stesso a una specie di essere per il quale non c’è posto da nessuna parte. Se al livello dello “Es” (ça), di pura struttura grammaticale, abbiamo l’effetto di Sinn, di senso; qui al contrario abbiamo a che fare con la Bedeutung. Mentre l’effetto di senso viene in derivazione di una scelta: obbligata, alienante, ma pur sempre una scelta; la Bedeutung si produce all’insaputa perché viene dal fondo di una mancanza d’essere.

Se il ça, l’“Es”, è ciò che viene al posto di quella sbrecciatura in cui il pensiero è morso dal disessere, l’inconscio è ciò che si forma in quel luogo del disessere, sbrecciato dall’esclusione del je ne pense pas ; dove l’Io del “non penso” si rovescia e si aliena in un “penso” che non è Io, in un “penso cose”.

È ciò che Freud dice dell’inconscio, ch’esso è costituito dalle rappresentazioni di cose, Sachvorstellugen.

Questo “penso” che non è Io, sorto nel luogo del disessere, l’inconscio, non va riunito con ciò che resta della struttura grammaticale escluso l’Io, l’“Es” (ça): l’”Es” e l’inconscio non si ricoprono.

Penso cose, non sono io che penso: nel sogno, per esempio, l’Io, l’Ich, l’“ego”, è disperso tra tutti i pensieri che lo costituiscono ad opera dei diversi meccanismi dell’inconscio, Verdichtung e Verschiebung. In tal modo questi pensieri che costituiscono il sogno sono ridotti allo statuto di segni; di guisa che ciascuna delle “cose”, Sache, robe, cose occasionali, giocano le une in rapporto alle altre una funzione di rinvio tale che ci fa smarrire come in un modo disordinato.

Sennonché Freud c’insegna nella Traumdeutung all’inizio del capitolo VI, “Il lavoro del sogno”, che l’inconscio è strutturato come un linguaggio: “…il contenuto del sogno è dato tutto come in una scrittura fatta d’immagini (geroglifici) i cui segni sono da tradurre solamente nella lingua dei pensieri del sogno”.

Allo stesso modo nel “Rebus” le immagini che lo costituiscono sono “cose” -spesso inverosimili come una barca su una casa o un uomo che corre con una virgola al posto della testa- “cose” che valgono come segni in rapporto a una Bedeutung, a una significazione regolata da una logica speciale che applica le leggi della scrittura.

Per semplificare: la struttura grammaticale del discorso comune, priva dell’Io (je), costituisce l’“Es” (ça) e perviene al senso; mentre il je, l’ich lo troviamo disperso nelle “cose”, Sachen, a costituire il “penso-cose” dell’inconscio; il quale è regolato da una logica sua, che possiamo assimilare a quella della scrittura; ma non c’è scriba, non c’è demiurgo.

Il ça (l’Es) e l’inconscio non sono sovrapponibili, non sono coestensivi, non direttamente, essi piuttosto, in un quarto tempo, vanno a sovrapporsi ai loro correlati: ciascuno al correlato dell’altro, in un modo che possiamo rendere visibile, se facciamo scorrere i due cerchi l’uno verso l’altro, di modo che si eclissino e si occultino a vicenda.

In questo “tempo ulteriore”, “termine quadrico”, “il ça verrà al posto del je ne suis pas, positivandolo, beninteso, in un je suis ça (io sono questo Es)”: “è il puro imperativo della formula wo es war, soll Ich werden”. Imperativo proprio alla struttura del masochismo, altrettanto impraticabile del “dovere” kantiano; dove l’Io (je), proprio perché non c’è, è chiamato a prendere posto nella logica dell’ “Es” (ça). Ma propriamente è l’“Es” che, in questo 4° tempo, viene nel luogo del disessere dove è svelata la verità della sua struttura: l’oggetto piccolo a.

Di converso, nell’altra occultazione di questo quarto tempo, “l’inconscio”, nella sua essenza poetica e di “Bedeutung”, viene al posto dell’ “io non penso”, subendo il colpo della caducità propria al pensiero, con un buco nella significazione.

Questa sincope della “Bedeutung” è illustrata da Lacan con la lacuna del sogno: quella rottura nel racconto del sognatore che Freud riconduce al testo stesso del sogno, come parte integrante di esso.

Il testo preso in esame è ancora del capitolo 6°, “Il lavoro del sogno”, della “Interpretazione dei sogni” (pag. 306 dell’ed. italiana): “Vado con la signorina K. al ristorante dei giardini pubblici…poi viene un punto oscuro, un’interruzione… poi mi trovo nella sala di un postribolo dove vedo due o tre donne, una delle quali in camicia e mutandine”. Segue l’analisi di Freud: “La signorina K. è la figlia del suo ex superiore e, come egli stesso ammette, un sostituto della sorella.

Solo di rado ha avuto occasione di parlare con lei, ma una volta ci fu tra loro una conversazione in cui “in un certo qual modo prendemmo coscienza del nostro sesso, come se dicesse: io sono un uomo e tu una donna”. Nel ristorante indicato è stato soltanto una volta, in compagnia della sorella di suo cognato, una ragazza di cui egli è completamente indifferente. Un ‘altra volta accompagnò un gruppo di tre signore sino all’ingresso dello stesso ristorante. Le signore erano sua sorella, sua cognata e la sorella di suo cognato, della quale si è già detto, tutte e tre persone che gli erano assolutamente indifferenti, ma tutte e tre appartenenti alla categoria delle sorelle. Soltanto di rado, forse due o tre volte nella vita, ha visitato un postribolo. L’interpretazione si basò sul “punto oscuro”, sulla “interruzione” nel sogno e stabilì che per curiosità infantile egli aveva qualche volta esaminato, ma solo di rado, l’organo genitale della sorella, minore di alcuni anni.

Qualche giorno dopo si presentò il ricordo cosciente del misfatto cui il sogno alludeva”.

Altrimenti detto quando nel lavoro del sogno, Trauminhalt, viene abbordato qualcosa che nel linguaggio metterebbe in causa ciò che ne è dei rapporti del sesso, si produce una sincope.

Il senso logico originale della castrazione per Lacan sta nel fatto che, a livello di significazioni, Bedeutungen, il linguaggio fa difetto e riduce la polarità sessuale ad avere o non avere la connotazione fallica.

L’assunzione di questa verità, da parte del soggetto umano, è possibile soltanto rinnovando su un altro piano la funzione dell’alienazione, la funzione cioè dell’Altro barrato.

Dalla semplice alienazione logica del je ne pense pas, per effetto dell’analisi, è possibile pervenire “alla rilettura della stessa necessità alienante nella Bedeutung dei pensieri inconsci”; con un risultato differente nei due casi.

Il risultato della prima operazione l’abbaiamo visto: un soggetto limitato alla pura struttura grammaticale e specialmente sottomesso alle due pulsioni scoptofiliaca e sadomasochista, quel soggetto di pura funzione grammaticale che facendo il giro attorno alla mancanza avvertita nell’Altro vi insedia l’oggetto che deve colmarla. In questo egli si crede je, Io del discorso; mentre ciò che evidentemente attiva il funzionamento è l’oggetto stesso, al quale dunque si riduce il soggetto in questa fase. Tutto ciò per difendersi dalla verità che gli viene dalla prima alienazione, la marcatura dell’Altro per effetto dell’ “io non penso”; verità che dal soggetto è assimilata all’orrore provato da bambino di fronte alla castrazione della madre. Così la sessualità tale e quale è vissuta e opera in questo ambito è qualche cosa che rappresenta un difendersi dal dare seguito alla verità che non c’è Altro. Nel tentativo sempre rinnovato di reintegrare, in un falso pensiero di fusione, l’Unità con la madre, l’atto sessuale è il significante di questa ripetizione.

Ciò che è avvertito come mancanza a livello della scelta alienante e che mette in moto il montaggio grammaticale della pulsione (1° tempo), deve essere realizzato come perdita nella Bedeutung dei pensieri inconsci (4° tempo). Soltanto con la manovra analitica, l’oggetto piccolo a può passare dallo statuto della mancanza a quello della perdita.

La difficoltà della manovra sta nel fatto che il senso viene sempre invocato a colmare il punto di “sincope della Bedeutung”. Tutto ciò che attiene all’oggetto piccolo a si manifesta sotto l’aspetto di Bedeutung tappata, di significazione rattoppata.

Colourless green ideas-sleep furiously: “Sfido chiunque -dice Lacan- a dare un supporto qualunque all’espressione “bel seno”. Dormono furiosamente! Ecco il senso. “Niente, mi sembra, può meglio esprimere in modo più adeguato… Ch’essi dormono, furiosamente all’occasione e che per svegliarli non è impresa da poco”.

L’impatto con ciò che vi è di anestesico in certe parti attraenti del corpo, corrisponde al limite ottuso della frase a senso; perché “è proprio in questa parte anestesica del corpo che dimora il godimento” (Logique du fantasme, 14-6-1967).