Claus Dieter Rath che è qui seduto accanto a me è uno psicanalista che esercita a Berlino e con il quale collaboriamo da tempo immemorabile, da quando esiste Cosa Freudiana, l’associazione psicanalitica dalla quale emana l’attuale Istituto Laboratorio Freudiano. Attualmente il dottor Rath, che dirige un Centro di studi psicanalitici a Berlino, è anche Vicepresidente della Fondation Européenne pour la psychanalyse, della quale attualmente rivesto io stesso la carica di Presidente e della quale insieme siamo membri del Bureau da lungo tempo; abbiamo pertanto un rapporto molto stretto di scambi professionali, e pure essendo lui di nazionalità tedesca a me riesce difficile considerarlo tedesco, perché lui parla benissimo l’italiano, per cui quando penso a lui penso ad un amico fraterno con il quale abbiamo condiviso parecchie esperienze professionali nel campo psicanalitico. Poi dirò qualcosa in più del dottor Rath, prima che inizi la sua conferenza, per il momento è qui al mio fianco ed io sono molto contento che ci sia lui.
L’argomento che il dottor Rath ha scelto per la sua conferenza, la sublimazione, collimava con l’argomento che la nostra lettura dell’Etica della psicanalisiprevedeva nel nostro calendario, la pulsione di morte, che Lacan concepisce come sublimazione creazionista.
Questo tocca un argomento che io prediligo perché da sempre sono sotto l’influenza della conclusione del Seminario II, L’io nella teoria di Freud e nella tecnica della psicanalisi, che risale al 1954-55: la distanza tra i due seminari è di circa cinque anni perché il seminario sull’Eticaè del 1959-60.
Lacan chiude, sigilla questo Seminario II, dove ha messo in evidenza l’ordine simbolico rispetto all’immaginario, distinguendo il Moi dal Je, con un’argomentazione che da subito mi ha interessato, mi ha implicato e alla quale io non sono più riuscito a rinunciare.
Tutto il Seminario II verte sul primato del simbolico, sicché a conclusione, traducendo direttamente dall’edizione Seuil, leggo: “è qui che noi sfociamo sull’ordine simbolico, che non è l’ordine libidico, dove si iscrivono tanto l’io quanto le altre pulsioni, l’ordine simbolico tende al di là del principio di piacere, fuori dai limiti della vita ed è per questo che Freud lo identifica all’istinto di morte”.
Qui parrebbe ambiguo, non si capisce bene se sia l’aldilà del principio di piacere che Freud identifica con l’istinto di morte o è l’ordine simbolico, ma si chiarisce più avanti.
“L’ordine simbolico è rigettato dall’ordine libidico, che include tutto il dominio dell’immaginario compresa la struttura dell’io”, attenzione qui, “l’istinto di morte non è che la maschera dell’ordine simbolico”, Lacan non dice pulsione di morte, scrive proprio istinto di morte, “l’istinto di morte non è che la maschera dell’ordine simbolico in quanto, Freud lo scrive, egli è muto”. Freud infatti nell’Al di là del principio di piacerefa proprio questa distinzione tra, l’Erosche è chiassoso, e il Thanatosche è silente.
La tesi di Lacan non ha soltanto il fascino di un sofisma ma rivela la sua forza probante nella sua articolazione: “l’istinto di morte non è che la maschera dell’ordine simbolico in quanto esso è muto, vale a dire che non è realizzato… finché il riconoscimento simbolico non è ancora stabilito, per definizione, l’ordine simbolico è muto, l’ordine simbolico al tempo stesso non essente e insistente per essere realizzato”.
Conosco questo passo dal 1978, l’anno di pubblicazione del Seminario II in Francia, e sono rimasto suggestionato da questa tesi di Lacan, che non ha ripreso, mi sembra, negli anni successivi, almeno negli stessi termini.
La lezione dell’Etica della psicanalisi sulla pulsione di morte, di cui ci occupiamo oggi, mi sembra che vada esattamente in questa direzione, o almeno ritorna su questa questione, cominciando dal rapporto del nevrotico con l’ordine significante, perché ci dice che nel nevrotico noi vediamo in azione il Ça parle, l’Esparla: vale a dire qualcosa nell’inconscio parla.
Lacan insiste su questo Esche parla fino agli ultimi anni del suo insegnamento, perché questo Ça parleconfluisce con la clinica quotidiana del nevrotico.
Mi sembrava utile questa premessa all’inizio di questa lezione, dove l’ordine simbolico viene da Lacan assimilato alla “ragione”, non c’è nulla di nuovo, lo ha già fatto altre volte però lui qui comincia con una contrapposizione tra bisogno e ragione che ritrova in un saggio di Carlo Marx.
Carlo Marx analizzando la filosofia del diritto di Hegel dice che la soluzione trovata da Hegel, benché sia molto brillante per spiegare l’organizzazione dello Stato moderno non è tuttavia convincente. In Hegel troviamo in effetti che la famiglia, la società e lo Stato sono quegli enti che hanno la determinatezza positiva del diritto ma che possono tradursi in ideali morali.
Marx nella sua analisi dice che Hegel dà una soluzione non sufficiente perché se è vero che vengono da lui coordinati il bisogno e la ragione, vengono armonizzati solo politicamente mentre da un punto di vista pratico le cose non vanno esattamente così.
Marx sostiene, nella sintesi che qui ne dà Lacan, che l’uomo nella realtà è alienato, perché abbandonato ai suoi bisogni e al suo destino. Nella sua ipotesi di società Marx invece auspica un uomo integrale, dove questo bisogno e questa ragione, nella pratica della vita di tutti i giorni, vengano armonizzati. Però tutti i suggerimenti che ha dato Marx non hanno sortito nessun effetto dice Lacan, le cose sono rimaste com’erano.
Lacan sul bisogno si è già espresso nel Seminario, Il desiderio e la sua interpretazione,dove ci dice una cosa semplicissima, che il desiderio è ciò che la domanda stacca dal bisogno, perché sta nella scoperta di Freud l’equivalenza tra domanda, ragione e ordine simbolico, ma si tratta di qualcosa già dato all’inizio ab ovo e che si trova in una posizione inconscia, dove questa ragione ha già una sua articolazione significante.
La dottrina sul significante di Lacan sostiene, sulla scorta di Freud, che a partire da una rimozione primaria che riguarda un significante e non un affetto o un sentimento, a partire da questo significante rimosso si costruisce poi tutta l’impalcatura di significanti inconsci che sta lì, sconosciuta e non saputa da colui che ne è il supporto e costituisce anzi il principio della sua soggettività.
Abbiamo allora questa struttura, questa ragione non saputa in noi, ed è, ci dice Lacan, in relazione ad una realtà cosi strutturata che poi in un secondo momento bisogna situare i bisogni, di modo che il rapporto tra bisogno e ragione è visto in una prospettiva diversa, ribaltata.
Mi è piaciuto l’incipit di Lacan di questa lezione perché introduce la sua dottrina sul significante attraverso l’analisi che Marx fa dell’opera di Hegel, e mi sembra una cosa ben costruita.
Qui non siamo ancora al tema specifico dell’alienazione come verrà affrontata nel Seminario XI del 1964, perché qui nell’EticaLacan si limita a sostenere che l’alienazione secondo la concezione freudiana, è di struttura, l’alienazione è strutturale.
Quindi l’alienazione non è il risultato di un’insufficiente impostazione politica e sociale come Marx obiettava ad Hegel, ma è strutturale.
Nel Seminario XI del 1964, I quattro concetti fondamentali della psicanalisi Lacan articola il tema dell’alienazione in termini un po’ diversi, dicendo che appena sorge il significante nel campo dell’Altro noi siamo già alienati (vedi sotto la mie aggiunte didascaliche all’illustrazione di Lacan).
Non appena il primo Altro, che è la madre, pronuncia una parola, noi siamo già alienati. Perché il bambino si trova davanti a una scelta obbligata: o accetta il senso di ciò (S1) che la madre gli dice ma allora buona parte di esso è rimosso (S2) trascinandolo con sé nell’afanisi, oppure si mantiene arroccato al suo essere, rifiutando il senso per mantenere la sua interezza, ma anche in questo caso egli sparisce nel non senso, perché non trova posto nell’universo simbolico (il campo dell’Altro), dove può entrare soltanto come soggetto diviso.
È il nostro destino essere divisi, perché siamo assoggettati alla lama di quel coltello che ci pone sotto il taglio del senso (S1) che ci aliena e ci fa pertanto sparire insieme con ciò (S2) che di questo è rimosso.
È una scelta obbligata perché non c’è modo di mantenerci integri nell’essere, senza sparire dal consorzio umano regolato dall’ordine significante.
Il soggetto è dunque diviso tra (S1) e (S2), ed è in questa Spaltung che si articola la funzione del desiderio, che per sua natura è paradossale e contraddittorio. È il modo problematico in cui il desiderio si presenta nell’esperienza freudiana e si capisce quindi come si venga a complicare nell’uomo quella direzione indicata da Marx per la sua integrazione.
È qui che si introduce il problema del godimento. Desiderio e godimento sono intimamente connessi, in rapporto a quel campo centrale inaccessibile, oscuro e opaco, luogo di quell’oggetto, intimo e estraneo, cercato e temuto, la Cosa, das Ding, irraggiungibile e al tempo stesso punto d’origine dell’apparato, costituito dalle orbite dei significanti inconsci.
È lo stesso apparato psichico che, nel seminario XI, è descritto come una calotta da prendersi su una sfera, costituita da una rete di neuroni connessi tra loro per anastomosi, all’interno della quale si creano dei varchi agevolati che facilitano la canalizzazione degli investimenti, i quali non fanno che ripetere gli stessi percorsi facilitati, per evitare la scarica motoria, mantenendo un equilibrio omeostatico.
A questo sistema si conforma la rete dei significanti, in connessione l’uno con l’altro, che tendono a stabilire un rapporto con qualcosa che sta al di là ma allo stesso tempo se ne ritraggono.
Ma dove sta il legame tra i percorsi agevolati nell’apparato neuronico e la funzione strutturante dell’ordine significante nell’apparato psichico? Nel principio di piacere forse?
“Il piacere è generato dal funzionamento di questi varchi facilitati, Bannungen, dove il varco è invocato come piacere della facilità e verrà ripreso come piacere della ripetizione”.
Da qui la coazione a ripetere: ma come possiamo sganciare tale coazione a ripetere dalla funzione del linguaggio con i suoi tagli e le sue scansioni?
Ecco allora che “la tirannia generata dalla memoria non deve nascondere nella nostra esperienza la struttura della memoria in quanto è fatta da un’articolazione significante”.
Resta tuttavia la limitazione per l’accesso al campo centrale del godimento sede di das Ding, perché l’apparato psichico, essendo regolato dalle leggi del principio di piacere, tende all’omeostasi e per mantenere il suo equilibrio narcisistico, non può andare al di là di quel limite, giacché in quel campo centrale “il godimento si presenta non puramente e semplicemente come la soddisfazione di un bisogno ma come la soddisfazione di una pulsione”.
Ora la pulsione non è concepibile al di fuori della catena significante, dove acquista la virtù della memoria e dell’oblio e la sua tendenza alla distruzione può tramutarsi in sublimazione creazionista.
È grazie alla forzatura della pulsione che è possibile superare la barriera e raggiungere quel centro, che infine si rivela come un vuoto.
Secondo Lacan è la forzatura che, almeno nella finzione letteraria, riesce a Sade per entrare in questa regione.
Nelle opere di Sade, il cui tema centrale è quello dell’erotismo ci sono delle digressioni, di tanto in tanto, che possono apparire come delle divagazioni che apparentemente non hanno niente a che vedere con la descrizione delle attività erotiche ma che, al contrario, ne supportano la tensione teorica, come il sistema di Sisto V, che si può leggere in Juliette, dove si ipotizza l’aiuto che un uomo dovrebbe prestare alla natura nella sua tendenza distruttiva per favorire la sua opera di ricostruzione. Sade dice che la guerra, la discordia, i crimini non possono essere banditi dalla terra anzi devono essere incrementati per fare il vuoto.
Lacan in qualche modo segue questa ipotesi di Sade del fare piazza pulita per creare quel vuoto e ricominciare la creazione ex-nihilo.
In verità Lacan si serve della lunga citazione del Marchese De Sade per tornare sulla pulsione di morte, che, ci dice, va collocata in un ambito storico, definito soltanto in funzione della catena significante.
Secondo Lacan la pulsione di morte freudiana va concepita come qualcosa che va al di là della tendenza al ritorno dell’inanimato. Al di là dell’entropia energetica, la pulsione di morte in Freud è una volontà di distruzione diretta, una volontà di ricominciare da zero, da qualcosa di Altro, nella misura in cui tutto può essere chiamato in causa dalla funzione del significante.
Legando questa volontà di distruzione alla funzione del significante si chiarisce quel che dicevamo all’inizio della pulsione di morte come un ordine simbolico che è in attesa di venire alla luce.
È in questo senso che l’istinto di morte in Freud è una pulsione creazionista.
Negli incontri dell’anno scorso sul seminario dell’Eticaabbiamo a lungo parlato, a proposito della sublimazione, di questa creazione ex-nihilo come elemento centrale della struttura, con l’esempio del vasaio che crea dal nulla e del vaso come un significante creato dal nulla.
La cosa singolare in tutto questo discorso articolato da Lacan, è che se c’è una catena significante è perché c’è questo vuoto al di là che la genera.
Io ho parlato di questa struttura nell’apparato psichico, che è animata da un orbitare incessante di significanti, ho insistito nelle lezioni precedenti, come un mantra, che i Vorstellungs-Repräsentanzen, sono le Vorstellungen, le rappresentazioni dell’inconscio che fanno coalescenza con elementi significanti e insieme formano i Vorstellungs-Repräsentanzen.
È vero che essi vorticano alla ricerca di qualcosa che non raggiungono mai perché l’apparato psichico tende a mantenere il suo equilibrio narcisistico, ma è anche vero, spiega Lacan, che se non ci fosse questo al di là del principio di piacere non ci sarebbe una strutturazione dell’apparato psichico, perché le orbite dei significanti sono generate da questo vuoto che sta al di là, che in qualche modo le attiva.
Tuttavia a un certo momento Lacan sembra ammettere che tutto sommato la pulsione di morte di Freud non è né vera né falsa, che è sospetta e che è ridicolo pure quello che dice Sade nel sistema di Pio VI; perché in fondo che cosa ci può essere di altrettanto povero e miserabile dell’idea che i crimini umani possano collaborare nel bene e nel male al mantenimento cosmico della rerum concordia discorsoraziana?
È ridicolo tutto questo, e tuttavia se Freud ha elaborato questo al di là del principio di piacere, da qualche cosa è stato motivato, perciò, per quanto questa pulsione di morte sia sospetta come è ridicolo ciò che dice Sade in Juliette, tuttavia, ci dice Lacan, basta che sia stata per Freud necessaria questa pulsione di morte che essa lo porti ad un punto d’abisso fondamentalmente problematico per essere rivelatrice di una struttura.
Rivelatrice di quel campo centrale, di cui ho parlato, al di là del principio di piacere, un campo centrale invalicabile dalle orbite dei significanti che tentano di raggiungere questo das Ding.
Questo centro che, dice Lacan, “vi designo alternativamente dell’invalicabile e della Cosaal tempo stesso” si può rivelare come un vuoto, un niente grazie al quale la pulsione di morte diviene sublimazione fondamentalmente creazionista.
Tutto è riportato infine alla questione dell’ordine significante.
Se c’è una catena significante regolata dal principio di piacere allora c’è un al di là di questa catena da cui questa si origina, un vuoto, ex nihilo, che ne causa l’articolazione. Questo vuoto che articola la creazione è appunto das Ding.
Questo das Dingè all’origine della catena significante, perché se non ci fosse stato per il piccolo d’uomo l’esperienza del Nebenmensch, l’Altro accanto, che a un certo momento si è bipartito, in una parte articolata e mobile e in un’altra fissa che è stata estromessa come ostile, emessa fuori come estranea, non staremmo qui a discorrere di tutto questo.
Se non ci fosse stato questo primo fuori, questo Altro indimenticabileche abbiamo estromesso e che tuttavia continuiamo a cercare senza raggiungerlo mai, non avremmo messo in moto queste orbite della catena significante e non ci sarebbe questo apparato psichico così strutturato.
Insomma l’apparato psichico, regolato dal principio di piacere, seguendo le facilitazioni e le connessioni per anastomosi del sistema neuronico, è strutturato da una rete di significanti connessi tra di loro, ma tutto questo è possibile per il fatto che c’è questo al di là, e questo al di là è costituito da quel primo atto con il quale abbiamo messo fuori da noi qualcosa che diventa quella Cosache al tempo stesso mi è prossima ed estranea.
Tutto questo dà un senso a ciò che vi ho detto all’inizio a proposito dell’ordine simbolico come pulsione di morte che tenta di venire alla luce, è proprio questo che Lacan spiega in questo seminario dell’Eticache rimette al centro del suo discorso l’al di là del principio di piacere, dove è attiva la pulsione di morte.
A questo punto Lacan si chiede: “Da dove sorge questa nozione? Questa prospettiva del campo che chiamo della Cosa? Questo campo in cui si proietta qual cosa al di là, all’origine della catena significante, questo luogo dove è messo in causa tutto ciò che può essere, questo luogo dell’essere dove si produce ciò che noi abbiamo chiamato sublimazione, di cui Freud, al massimo, ci presenta l’esempio più massiccio? Questo luogo dell’opera che l’uomo si mette singolarmente a corteggiare?”.
Qui Lacan trova un punto di attacco per esemplificare una modalità di superamento dell’invalicabile con la sublimazione dell’Amor cortese.
Dai poeti dell’Amor cortesenon è che sia corteggiata la donna in quanto essere naturale riconoscibile con nome e cognome, perché tutti gli studiosi dell’amor cortese si sono resi conto che questo personaggio che veniva cantato dai poeti cortesi aveva alla fine le stesse caratteristiche per tutti, aveva le caratteristiche intanto di estraneità e crudeltà, e soprattutto si trattava di qualcuna che era inaccessibile e che non concedeva niente di se stessa.
La caratteristica di questi personaggi femminili dell’amor cortese era infine quella di ridursi soltanto a un essere di ragione, e allora si comprende come questi cantori siano alla ricerca di qualcosa che sta al di là del principio di piacere, perché la donna che viene cantata viene collocata in un al di là, è un personaggio che ha soltanto delle caratteristiche tipiche, che fa dire a Lacan che si tratta soltanto di un essere di significante.
In questa prospettiva di porre qualche cosa al di là, di creare una barriera invalicabile, questa donna dell’amor cortese viene “elevata alla dignità della Cosa”, viene elevata alla dignità di significante per essere precisi.
Quindi la donna cantata nell’Amor cortese, non corrisponde per niente alla prospettiva del principio di piacere e va ad occupare quel campo lì, di cui parlavamo prima, quel campo centrale che si vuol raggiungere e allo stesso tempo non si vuol raggiungere.
Tutti sappiamo che la donna nell’amor cortese è irraggiungibile, un essere di cui si cantano tutte le lodi, che poi devono corrispondere a certi canoni dell’epoca, e allo stesso tempo è una donna che è crudele e che non concede nulla.
Risulta chiaro da tutto questo, che siamo nell’al di là del principio di piacere anche nella prospettiva dell’Amor cortese, dove è messa in atto una sublimazione creazionista da tutto uno stile convenzionale per elogiare un oggetto che viene elevato al rango di das Ding.
Dott.ssa Vennemann: è qui valida la formula della sublimazione, vale a dire che nell’amor cortese c’è l’elevazione simbolica dell’oggetto immaginario alla dignità della Cosache sarebbe reale. In questo senso la sublimazione è in rapporto al reale.
Dott. Burzotta: sì, il reale che sarebbe il vuoto di das Ding.
Quello che ho cercato di far passare è che questo processo che è messo in atto, in queste lezioni, tra principio di piacere e principio di realtà, ciò che è messo in gioco da Lacan sono questi elementi significanti che vanno a strutturare questo Real-Ich, questa realtà psichica, appoggiandosi all’opera di Freud Progetto di una psicologia, dove ha ritrovato questi processi, in cui l’apparato neuronico si costruisce tramite tutta una serie di facilitazioni, per costituire quello che Freud chiama Real-ich, lo stesso che Lacan riprende nel seminario XI, dove il Real-ichè raffigurato da Lacan con una calotta da concepire come una rete di percorsi facilitati disposta su una sfera.
Ora qui nell’Eticaquest’apparato si struttura come Real-ich, proprio grazie al fatto che c’è questo campo centrale fuori dalla rete di significanti, un vuoto al di là dove risiede das Ding, impossibile da raggiungere e forse in questo senso reale.
Blanca Sofia Bresani: che sarebbe questo di questa frase di quel poeta che dice “il vuoto che c’è nella mia cloaca soffiateci dentro per vedere se la vostra sublimazione regge ancora”.
Dott. Burzotta: in effetti Arnauld Daniel ha scritto un poemetto che noi abbiamo letto l’anno scorso, dove la pastorella si rivolge al pastore, che la cantava nei modi del poeta dell’amor cortese, dicendo: sì va bene tutto quel che voi dite però se considerate qual è realmente il mio reale, il vuoto della mia cloaca, provate a soffiarci dentro, dice la pastorella al pastore poeta, e vedrete quali saranno gli effetti, se tutto il vostro canto si regge ancora. Questo è il vuoto di cui parla la pastorella. Però il vuoto allo stesso tempo corrisponde e non corrisponde, questo vuoto dobbiamo concepirlo come das Ding, lei suggerisce questo?
Blanca Sofia Bresani: sì.
Dott. Burzotta: Lacan semplicemente a questo punto di impasse dell’Amor cortese suggerisce un’altra soluzione, quella del Marchese De Sade, per citarne uno: “l’Essere supremo in malvagità”, di cui discorrerà nelle lezioni successive.
Michelle: io sto leggendo “La malattia come simbolo” dove mi ha colpito la frase che diceva, che bisogna passare dall’inclusione all’esclusione: è un po’ questo principio di piacere che genera omeostasi, e alla fine tutte e due sono necessari, però se uno resta li e ha paura di andare oltre alla fine ti distrugge, alla fine qualcosa deve uscire perché qualcosa si crei. Non lo so…
Dott. Burzotta: Sì mi sembra pertinente. Allora io spero di non avervi affaticato troppo con questi discorsi.
Trascrizione
Valentina Bellini